Shangri-La: La frequenza del paradiso perduto

🌫️ Shangri-La e il suono che rimane
Fin da bambino ho sentito un profondo legame con i classici film in bianco e nero.
Già da adolescente trascorrevo ore a curiosare tra gli scaffali dei negozi vintage, e lì ero, tra vecchi libri e film impolverati...
Orson Welles mi ha sorpreso con La guerra dei mondi, quella storia di macchine extraterrestri che sembrava più reale della realtà.
Hitchcock Invece, sono rimasto affascinato dalle sue trame psicologiche: Luce a gas, Psicosi, e l'orrore in Gli Uccelli…
Ombre, paure e porte che cigolano dove non dovrebbe esserci nessuno.
E in mezzo a quell'universo in bianco e nero, la mia anima trovò tregua in Audrey Hepburn, nel suo sorriso semplice, nel fascino della sua spontaneità, in Sabrina e la sua storia d'amore impossibile e la sua vita nostalgica a Parigi o in Vacanze Romane come quella principessa che vuole solo vivere una vita normale.
Ma tra tutti, ce n'è uno che rimane impresso nella mia memoria con una particolare intensità.
Una storia in bilico tra mistero, bellezza e impossibile.
Un aereo si schianta in alta quota sull'Himalaya.
Una città nascosta oltre il visibile.
Un film che ancora oggi sento appartenermi: Orizzonte perduto (1937), basato sul romanzo di James Hilton.
Sulle alture dell'Himalaya, oltre il Nepal che conosciamo, c'è un luogo leggendario: Shangri-La.
Una valle nascosta incastonata tra i monti Kunlun, nel mitico Tibet.
Un regno che non compare sulle mappe, ma che abita l'immaginario di coloro che un tempo sognavano la felicità e la pace assoluta.
Alte montagne, nebbia perpetua, monasteri silenziosi, suoni penetranti, forse di campane che percorrono distanze infinite, giardini che sanno di eternità.
Ricordo vividamente quelle scene:
un aereo che sorvola cime ghiacciate, una caduta improvvisa nella neve.
Passeggeri che vagano senza meta, attraverso giorni di bianco e vuoto…
Finché, come un miraggio, apparve Shangri-La.
Una città segreta tra le rocce, immersa in una luce soffusa e irreale.
Templi dai tetti dorati, acque tranquille, fiori che non appassiscono mai.
Volti calmi, vestiti con abiti leggeri, nonostante il mondo intorno a loro fosse gelido.
Un luogo fuori dal tempo.
E tuttavia il protagonista decide di andarsene.
Non ho mai capito il perché.
Aveva trovato l'armonia, la bellezza, la perfetta quiete del mondo...
Eppure, qualcosa in lui lo riportava al rumore, alla fretta, all'obsolescenza.
Fin dalla mia innocenza, mi aggrappai all'immagine di quella valle come chi teme di perdere un tesoro.
Non me ne sarei mai andato.
E quando lui, anni dopo, pentito, cerca di tornare, guidato da una nostalgia che non riesce più a controllare, trattengo il respiro e desidero che trovi Shangri-La.
Perché sapeva, senza capire come, che Shangri-La era più di un posto.
Era una promessa interiore.
Una vibrazione segreta.
Un'eco dell'anima.
🧘♀️ Il suono che apre la montagna
Si dice che in Nepal ci siano ancora angoli in cui risuona quell'eco.
Nei piccoli templi o nei centri di guarigione nascosti tra i vicoli silenziosi, si pratica un'antica arte meditativa:
guarigione sonora con le campane tibetane.
Non è musica. È vibrazione.
Una frequenza che viene percepita più con il corpo che con le orecchie.
Quando le ciotole cominciano a suonare, la loro vibrazione penetra lentamente nello spazio e qualcosa nell'aria e dentro di noi cambia.
È come un momento che diventa un eterno presente.
E come se in qualche modo ci collegasse a un luogo lontano, ricordato, forse sognato.
Molti lo descrivono così:
una sensazione di galleggiamento.
Per tornare a qualcosa che non può essere nominato, ma che è riconosciuto.
E in quello stato, C'è chi sostiene che sia possibile toccare, per un istante, ciò che abbiamo cercato nei film, nei libri, nei nostri ricordi...
Forse Shangri-La non è su una mappa
Ma forse, solo forse, la sua frequenza può essere percepita nella profonda vibrazione di una ciotola tibetana,
quando il suo suono attraversa il corpo e si collega all'anima, e tutto ciò che non è essenziale svanisce.
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